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4. Il mondo greco

Nel mondo greco si manifesta più apertamente il tema della stima e del sospetto sulle apparenze dei colori, che è stato successivamente un filtro permanente nell'occhio della cultura occidentale: i pitagorici hanno un'attenta disistima per il colore, considerandone l'aspetto profondamente estrinseco.
Contro i pitagorici, Empedocle considera i colori come l'anima e le "radici" del mondo esistente (terra, aria, fuoco, acqua: giallo, nero, rosso, bianco), ma Democrito ne osserva soltanto i principi oppositivi del bianco e del nero che si mutano l'uno nell'altro e che discordamente si confondono. Stoici ed epicurei dissentono o stimano alternativamente gli effetti dei colori in rapporto alle pure sensazioni e all'orientamento del giudizio.

Una prima sintesi sull'essenza del colore si elabora intorno all'insegnamento di Aristotele se è suo il breve Dei colori (apparso soltanto nel 1497), forse più facilmente ascrivibile al catalogo fisico-pratico di Teofrasto. La cospicua sintesi naturalistica di Teofrasto riguarda senza distinzione ogni superficie o "scorza" dipinta, colorata e naturale (chromata), le polveri e i pigmenti (pharmaka), nonché i belletti e gli unguenti, le radici o essenze tintorie, ma risulta comunque muta rispetto alla soglia cromatica dell'azzurro, che ha fatto pensare a un presunto daltonismo o cecità dei greci, rispetto a questo colore.

Ad eccezione della testimonianza di Teofrasto, nella tintoria attica si registrano le rare qualità del guado o pastello: sostanza colorante blu tratta dalla macerazione della Isatis tinctoria che insieme alla rossa Rubia tinctorum è la pianta tintoriale in assoluto più diffusa, accompagnata più raramente dall'indigo o indaco (atramentum indicum) nelle tinte azzurrate. Colori questi ultimi che non appartengono legittimamente alla tradizione greco-classica ma appariranno ad intermittenza in Alessandria d'Egitto dietro gli influssi asiatici dell'ellenismo.

Dioscoride di Anazarba (I sec. d.C.), riprendendo la tradizione di Teofrasto, fornisce nella sua Materia medica ogni qualità tintoria delle piante maggiormente usate per le essenze, per esempio, l'oricello, il cartamo e le galle di quercia. Si tratta di tinture nella gradazione del rossastro, arancio, ruggine e giallo in rapporto ai procedimenti di fissaggio della tinta, la cui materia prima impiegata in larga misura è l'orina fermentata e da ciò la costante considerazione di impurità ed il conseguente allontanamento, ai margini della città, della categoria votata ai mestieri di tintore e di conciapelli.

Il mondo greco è il maggior utente della fortuna sociale della porpora: tutto il mare Mediterraneo è conquistato dal colore rosso-porpora dei Fenici che posseggono insieme all'abilità di produrla, i mezzi sempre più larghi per diffonderla in una gamma colorica molto vasta. L'estrazione della prodigiosa tintura si ottiene per piccolissimi quantitativi da migliaia di murici e chiocciole marine di particolare specie (Murex trunculus, Murex brandaris, Purpura haemastoma), con effetti tintorii immediati e visibili dopo particolari e prolungati lavaggi e bolliture delle pezze di lana e l'esposizione all'aria mattutina del mare sulle spiagge di Tiro. Ambiente che agisce insieme come ossidante e fissativo del chiarissimo color porpora antico: tono questo non più riproducibile nelle età moderne.

La diffusione e moltiplicazione di gruppi di maestri artigiani esperti al tempo stesso di metallurgia e di meccanica, nonché di arti tintorie, sono richiesti alla città di Tiro dallo stesso re Salomone (950 a.C.) nella grande impresa per la costruzione del tempio di Gerusalemme. Tutto questo va inteso nel prestigio etico-sociale che il ricco e ineguagliabile colore della porpora conferisce alle civiltà mediterranee che se ne servono come un dominante colore occidentale, pure nella diversità delle tradizioni figurative, tecniche di rappresentazione e di confezione di prodotto d'arte.

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* CAPITOLO 1 - STORIA DEL COLORE *
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