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. Industria chimica: colori sintetici

Il maggior sforzo della chimica industriale fu quello di produrre tinte derivandole dalle scale coloriche di quelle naturali già selezionate dal gusto e dall'occhio, ma imponendo infine quelle prodotte come più convenienti ed eliminando di fatto quelle più rare, care e di difficile produzione.
Quando la gente ha cominciato a vedere e indossare colori diversi, ha cominciato anche a pensare diversamente (4).

Il lavoro incessante dell'industria e delle invenzioni chimiche completa lentamente il piano della produzione sintetica del colore che tende a ottenere assolute qualità di massima durevolezza e di indelebilità a qualsiasi agente distruttivo del tempo e alla meccanica del logoramento.

Già nella seconda metà del XIX sec. l'alizarina artificiale (1868) aveva diffusamente sostituito la tintura rossa ricavata dalle piante di robbia, e ciò consentiva una lavorazione lievemente semplificata del rosso turco che restava in assoluto la tintura più solida ma anche la più lunga e costosa a prodursi.

Dalla malveina, anilina, alla fucsina (tinture rosse), con l'invenzione dell'indaco artificiale (1880) si poteva concludere la crociata delle sperimentazioni ottocentesche sulla produzione del colore. Ma la Francia che godeva di un primato sulle singole scoperte dei coloranti si vide presto surclassata dalla produzione chimica tedesca che al volgere del secolo XIX produceva la quasi totalità dei coloranti e delle tinture.

Ciò nasceva con le industrie in piena crescita e sviluppo come la Bayer, la Hoechst, la Ciba la cui origine si deve soltanto alla produzione della tinta e alla diffusione del colore come sintesi chimica. L'industria passa poi, ingigantendosi, attraverso un processo significativo: la fabbricazione massiccia di coloranti si trasforma nella produzione di esplosivi (i coloranti giallo-arancione al nitro erano infatti soltanto questo), per arrivare infine al prodotto farmaceutico di oggi.


20. La società industriale

In questo periodo la bianchezza dei marmi classicheggianti è assunta dalla città ottocentesca come un principio di archeologia storica e sociale per nobilitare edifici e suppellettili pubblici e privati; accanto all'effetto sbiancante dello spazio pubblico e privato che predispone il nuovo ambiente per la città borghese ed egualitaria, si diffonde un nero individuale e personale (abbigliamento), mentre alla stessa maniera il rosso, colore militare e di battaglia va assumendo lentamente le connotazioni ideologiche delle rivoluzioni popolari che mantiene tuttora.

Nella società ottocentesca il colore, come già nell'antica simbologia araldica, sembra assumere valenza e significati, anche se non precisamente codificati come nei manuali cavallereschi e nei libri d'imprese.
Le bandiere (i tricolori) stanno a dimostrare l'unità degli ideali nazionali raggiunti, riconsacrati al nuovo patriottismo popolare; alla stessa maniera le divise colorate degli eserciti possono ricoprire intere popolazioni, le quali ora come individui e come cittadini possono avere, con il vestito a colori, una patria e un destino.
Nell'arte della guerra la distinzione del colore militare, in mezzo al verde della campagna, è prima di tutto un aspetto immediatamente offensivo, in quanto amplifica il numero e la quantità. L'uso militare del colore passa poi, gradualmente, su di un fronte opposto: la manifesta e chiara individuazione dei colori schierati di un esercito e delle sue componenti aggressive, dovrà invece diventare una manifesta invisibilità e simulare nel possibile ogni movimento o apparizione troppo rivelatrice (colori mimetici).

Il bianco in quanto unità dichiarata di tutti i colori possibili, pur nella nota ambiguità, e il nero con la sua negatività, tendono nella città industriale a essere colori di riferimento per la loro connotazione positiva e più precisamente per la loro assenza di colore; il fascio di colori usati dalla società, che provava riflessioni e comportamenti all'interno di un'unità dichiarata di messaggi conformi a precise regole, diventa un "oggetto" ben determinato: la bandiera, l'abito, la divisa, il dipinto, il giardino.
Ciò non riguarda direttamente l'interesse per la colorazione e la produzione di oggetti, ma un processo di identificazione fluttuante ed eloquente che un colore trasmette agli oggetti senza essere più tale: i colori patri, i colori della moda o della rappresentanza, i colori della pittura e dell'arte, i colori dei fiori o il verde.

La società industrializzata è diffusamente una comunità monocromatica o dialetticamente bicromatica (in senso esclusivo), in generale poiché il bianco allontana il nero e il rosso esclude il blu per alcune designazioni fisse in quanto schemi del colore che sono: 1) luce e oscurità (bianco e nero); 2) caldo e freddo (rosso e blu).

Tutto ciò interessa una richiesta della visione genericamente a colori (non del colore) con quei processi (sperimentati da Maxwell nel 1885, dopo Young e Von Helmoltz) di addizione e di sottrazione che premette la considerazione che tre soltanto siano i colori basilari, dai quali ogni altro può essere formato.

I colori sono necessariamente fissati nei gruppi e nei tipi: rosso (vermiglione), blu (azzurro), verde (bandiera), ciano (azzurro), magenta (rosso carminio), giallo (limone); questi colori come tali sono sottoposti a due tipi di manipolazione: la prima corrisponde ai colori trasmessi attraverso la luce (fenomeno additivo), la seconda si basa sulla mescolanza o sovrapposizione (fenomeno sottrattivo).
In breve, la prima esperienza si produce proiettando su di uno schermo bianco le luci dei tre colori basilari in forma di cerchio, in questo modo si otterranno per semplice sovrapposizione i tre colori (ciano, violetto chiaro, giallo), sovrapponendo i quali questa volta con semplici dischi di carta trasparente e lucida si otterranno i colori impiegati precedentemente (rosso, blu, verde) e il nero apparirà al centro al posto del bianco. La prima si chiamerà sintesi o mescolanza additiva, la seconda sottrattiva. [ Fig. 3 ]


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Fig. 3 ]

Anche i pittori pointillistes come Seurat, che rifiutava le mescolanze tradizionali e accostava i colori con lo scopo di ottenere per effetto della distanza dell'osservatore un fenomeno di addizione ottica, componevano variamente questo nuovo fenomeno con quello scoperto da Goethe e riproposto da Chevreul circa il contrasto consecutivo e simultaneo: il quale si manifesta però con superfici di colore piuttosto demarcate e piuttosto estese.
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(4) M. Brusatin, Storia dei colori, Ed. Einaudi, Torino 1983 : "Accanto al sistema di normalizzazione delle materie coloranti si vanno precisando rispetto alle percezioni cromatiche non normali, i difetti relativi. John Dalton, analizzando le proprie, teorizza le anomalie di percezione cromatica entro la soglia del rosso (daltonismo): il fenomeno viene esteso in seguito alla mancanza della precisa percezione del blu e del violetto, fisiologicamente più rara".

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* CAPITOLO 1 - STORIA DEL COLORE *
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