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. Teoria della visione di Young e Helmoltz

Di teorie che cercano di spiegare la visione dei colori se ne sono fatte molte e ancora oggi se ne propongono di nuove e sempre più sofisticate. In realtà esistono problemi a cui non si sanno dare risposte sicure e definitive. La prima seria ipotesi scientifica avanzata per rendere conto della visione dei colori, la teoria di Young e Helmholtz è particolarmente significativa, da una parte per la sua elegante semplicità, dall'altra perché spiega la maggioranza dei fatti fondamentali.

I moderni studi sperimentali sui meccanismi della visione consentono di dire qualcosa di più preciso sulla regione spettrale di sensibilità dei coni e dei bastoncelli (cioè l'intervallo di lunghezza d'onda della luce capace di sbiancare i loro pigmenti visivi). I bastoncelli sono praticamente ciechi alle lunghezze d'onda sopra i 600 nm, vale a dire per le radiazioni luminose della zona rossa, mentre si comportano meglio dei coni nel settore violetto. Il massimo della curva di risposta dei bastoncelli cade a 510 nm, contro i 555 dei coni. In condizioni di luce tali da indurre una visione scotopica, cioè sostenute dai bastoncelli, qualsiasi radiazione luminosa, non importa se di lunghezza d'onda di 420, 500 o 560 nm, genera le medesime sensazioni di colore: una tinta indefinibile che sta tra il grigio scuro, il blu e il verde. Questo comportamento dei bastoncelli esclude ogni dubbio residuo che la luce possa essere di per sé colorata. E conferma che il colore è solo una sensazione psicofisiologica, che proviamo quando particolari recettori - i coni - vengono stimolati. Ciò avviene solo quando la luce diventa apprezzabile. Dapprima i colori sono smorti, grigiastri, poi via via più brillanti, fino ad assumere la loro completa forza vitale in presenza di piena illuminazione. Come avviene tutto questo?

Per capire questo occorre fare un passo indietro nella storia e tornare al medico-scienziato inglese Thomas Young. Egli fu il primo scienziato che, partendo dal fatto allora noto dell'esistenza di tre colori primari (dalle mescolanze dei quali derivano tutti gli altri), ne cercò la spiegazione non più nelle proprietà della luce, ma in quelle dell'occhio umano.
Il problema di Young era di capire in che modo l'occhio riuscisse a trasmettere al cervello uno stimolo nervoso differente e appropriato per ogni particolare lunghezza d'onda della luce.

Young avanzò l'ipotesi che i recettori per la visione diurna fossero soltanto di tre tipi e che ciascun tipo corrispondesse a una tinta primaria; ogni altra tinta sarebbe risultata dalla stimolazione simultanea dei tre tipi di recettori, in modi opportuni. Era un'idea nuova, solo in seguito giustificata dalla scoperta che, in effetti, la retina dispone di tre tipi di coni (il quarto tipo di recettori, i bastoncelli, ha tutt'altre funzioni e nulla ha a che fare col colore). Ebbene, oggi si sa che ciascun tipo di coni contiene pigmenti che si sbiancano per lunghezza d'onda della luce un poco diverse. I tre tipi di coni hanno, in altre parole, tre diverse risposte spettrali.

Il primo tipo di coni presenta un massimo di risposta a 580nm ed è l'unico sensibile al rosso. Il secondo tipo percepisce luce di lunghezza d'onda più corta, tale da includere il verde e il giallo, con un massimo di sensibilità a 550 nm. Infine, il terzo tipo di coni, che sono i meno sensibili, presenta un massimo di risposta a 450 nm, cioè nella regione del blu-violetto. Per confermare le sue teorie Young si basò sui suoi esperimenti della mescolanza o sintesi dei colori (sintesi additiva).

Le idee di Young furono riprese mezzo secolo più tardi da Hermann von Helmholtz che perfezionandole pervenne alle seguenti conclusioni.
Il processo visivo passa attraverso la scissione del colore osservato in tre componenti: la radiazione luminosa in arrivo sulla retina stimola simultaneamente tutti e tre i tipi di coni, ma in misura differente a seconda della particolare condizione spettrale ad essa associata (lunghezza d'onda dominante). Come conseguenza, al cervello viene inviata in ogni istante una tripletta di segnali che è rigorosamente caratteristica di quella colorazione e non di un'altra (2).
In conclusione, una data tinta può essere generata con molte combinazioni di righe o di bande luminose.


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. Sintesi additiva e sottrattiva

Il bianco, in particolare, è ottenibile nella sintesi additiva di tre sole tinte, tipicamente le primarie di Young, purché siano dotate con precisione, in modo che esse generino la stessa tripletta di stimoli che sarebbe prodotta dalla luce del sole (rosso vivo, verde, blu-violetto).
In questo discorso non rientra però il nero, perché corrisponde alla totale assenza di luce, mentre nell'esperienza di Young non si fa altro che sommare luci diverse. Per ottenere il nero si deve
perciò ricorrere anziché alle mescolanze additive, alle sintesi sottrattive, in cui si sottrae luce a luce.
La sintesi additiva, a parte il meccanismo della visione, dove gioca un ruolo fondamentale, si verifica solo in poche situazioni del nostro vivere quotidiano (ad es. la televisione a colori).
La mescolanza sottrattiva è assai più importante perché è quella che interviene nella nostra comune esperienza di osservazione dei colori. La colorazione delle cose comporta, infatti, meccanismi sottrattivi perché è basata sulla loro capacità di assorbire componenti cromatiche, piuttosto che di emetterle. Il colore è dato da ciò che non viene assorbito.
Un'ultima precisazione sulla terna delle tinte primarie sarà utile considerando che Young ha sempre scelto rosso, verde e blu, del resto coerentemente con la fisiologia della retina, mentre spesso, e in particolare nelle arti grafiche e pittoriche, si usa una terna che al posto del verde comprende il giallo. La risposta è semplice: in sintesi additiva, come sono uniti i colori negli esperimenti di Young o nella nostra retina, il giallo è il risultato della sovrapposizione del rosso e del verde, mentre in sintesi sottrattiva, com'è in pittura o in grafica, il giallo non è ottenibile dalla miscelazione di nessun colore, ragion per cui occorre inserirlo nella terna dei primari.

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(2) Andrea Frova, Luce colore visione, Editori riuniti, Roma 1984. :"Esistono categorie di persone con difetti visivi dovuti all'assenza di uno dei tre tipi di coni. Il modello di Young ed Helmholtz ci aiuta a capire molto bene cosa accade.
Disponendo di due soli tipi di coni, quelli del blu e uno solo nella zona rosso-verde, gli individui affetti da questo disturbo hanno difficoltà a discriminare i colori dello spettro compresi tra 540 e 700 nm. Se mancano i coni del primo tipo, quelli del rosso, si ha il caso della protanopia (dalle parole greche prótos = primo, a = senza e opía = visione). Più frequentemente è la deuteranopia (dal greco deuter = secondo), che corrisponde alla mancanza dei coni sensibili al verde. Esistono anche casi di non funzionamento dei coni del terzo tipo (tritanopia), per cui la visione dei colori è alterata dall'assenza del blu. Si tratta però di un difetto estremamente raro.
Tutti i casi descritti sono esempi di visione dicromatica: la percezione dei colori deriva dall'azione di due soli tipi di coni e non può essere fatta rientrare nella descrizione di Young-Helmholtz per i soggetti normali o tricromatici. Si possono dare casi ancora meno piacevoli, dove mancano addirittura due tipi di coni. Con un solo tipo di coni a disposizione, la visione in luce diurna diventa simile a quella notturna, cioè essenzialmente acromatica.
Con ancor maggiore frequenza, si riscontrano anomalie in cui un particolare tipo di coni presenta un'attitudine a percepire la luce diversa dalla norma. Nei tre casi possibili si parla di protanomalia, deuteranomalia (senz'altro il più diffuso di tutti i difetti daltonici) e tritanomalia. Questi termini descrivono una visione anomala da parte dei coni rispettivamente del rosso, del verde e del blu. Gli individui affetti da queste anomalie sono dunque dei tricromati, ma presentano ovviamente una visione alterata dei colori. Nel senso che, sebbene siano presenti tre tipi di fotorecettori, almeno uno di essi ha un'attività visiva che differisce da quella dei soggetti normali.

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* CAPITOLO 2 - FISICA DEL COLORE *
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