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12. Il Quattrocento

Idee queste che non prevarranno nell'intellettualità quattrocentesca, in cui la priorità filosofica della forma sul colore, non rintracciabile nella sua materia ma nel suo apparire e rivelazione, parla del meccanismo che governa realmente il colore iscrivendolo dentro a contorni definiti, in qualcosa cioè che lo precede e lo sostanzia: la cosiddetta antigraphice (un'arte "che sta davanti") cioè il disegno.

Il disegno quattrocentesco attraverso la scienza geometrica della prospettiva poneva alle arti riproduttive la condotta della sapienza e della verità, mentre il mondo dei colori si componeva ancora secondo un accordo degli elementi, seduttivo e apparente.
Prima che gli artisti si occupassero del colore immergendo in una disciplina blandamente teorica quel tanto di cognizioni pratiche che alimentavano le loro esclusive abilità artistiche, il catalogo medievale dei colori si fissava in una rigida scala di valori, contro la quale Lorenzo Valla (1430), con intelligenza umanistica dichiarava tutte le insufficienze, rispetto all'ordine di precedenze e di levatura sociale che i colori sembravano rivestire anche per l'uso eminentemente araldico che ne imponeva la stima.

Anche le osservazioni teoriche che Leon Battista Alberti introduce nel De pictura (1436), a proposito dei colori, sembrano ricostruire un ordine elementare della materia, di per sé molto prossimo alla primitiva trattazione di Lucrezio sulla varietà dei colori e sull'acromatismo della materia primitiva degli atomi, come se la meditazione filosofica del colore non fosse che un puro oggetto per definire la disciplina della pittura e delle sue regole progettuali.
Questa riproposizione teorica d'impasto classico (al fondo aristotelico) coglie l'esigenza più oggettiva di affermare che i colori fondamentali si manifestano con l'impoverimento o l'aggiunta di luce. Con questo l'artista intacca l'ordine "dignitario" dei colori come sostanza ed effetto di una condizione sociale o di un rango, s'impegna a fornire tutt'altro che il praetium manifestato dal colore, quanto invece il merito della sua arte e della sua produzione artistica.


13. Leonardo

Più precise attenzioni alla percezione del colore sono espresse da Leonardo, in un trattato incompleto e inattuato Sulla pittura, che inaugura con grande originalità ogni considerazione sulle funzioni produttive della composizione pittorica rispetto alla luce e all'ombra, ma soprattutto sulle leggi della loro percezione e del loro contrasto, includendo come fondamentali ora otto colori, eccettuando il bianco e il nero (azzurro, giallo, verde, leonino, taneto, morello, rosso), ora sei (bianco, giallo, verde, azzurro, rosso e nero).

I propositi di Leonardo tendono ad accostare alla prospettiva lineare con cui si regolava il disegno, una teoria dei colori e della loro visione (prospettiva aerea), bilanciando con l'esperienza le condizioni della visione attraverso la luce e l'ombra.
Accanto al sistema della pittura, i colori "infra la teoria e la pratica" appartengono propriamente alla "prospettiva dei perdimenti" dove opacità e trasparenza acquistano virtù e valore dagli effetti dell'aria e dal suo "spessore" nonché dalle superfici più o meno riflettenti.
La "prospettiva dei colori" non è soltanto l'introduzione di un principio di relatività nella percezione dei colori ma forse la base della percezione cromatica soggettiva.
Leonardo sembra ancora invitare ad un esperimento come ad un gioco: guardare il paesaggio attraverso dei vetri colorati e distinguere "quale fia il colore che con tal mistione si racconci o guasti" (l'esperienza di Leonardo dei vetri colorati anticipa le ipotesi dei colori additivi e sottrattivi).

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* CAPITOLO 1 - STORIA DEL COLORE *
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